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Immigrati, tempo scaduto per regolarizzare: 130mila domande di emersione

Written By Unknown on martedì 16 ottobre 2012 | 09:41


Si è chiusa a mezzanotte – definitivamente, come ha ribadito ancora ieri il ministro Annamaria Cancellieri – la finestra utile per regolarizzare i lavoratori stranieri in nero. Alle 18, ultima rilevazione dell'Interno a sei ore dalla chiusura, il dato era di 129.814 domande inviate al sito del Viminale, di cui 112 mila per il settore del lavoro domestico. Poche, invece, le richieste di regolarizzare lavoratori subordinati in altri settori. I dati confermano Milano la città con un maggior numero di richieste (18.472), seguita da Roma (13.322) e Napoli (10.633); Enna, con 18 richieste, chiude la graduatoria. Il "picco" delle domande è stato raggiunto negli ultimi giorni, dopo che è stata fatta chiarezza sul requisito più importante per accedere alla regolarizzazione, cioè la data d'arrivo dell'immigrato in Italia, precedente il 31 dicembre 2011: l'Avvocatura dello stato ha infatti stabilito che a far fede può essere anche una tessera del bus nominativa, un certificato medico rilasciato dalla Asl, il certificato di iscrizione scolastica dei figli o attestazioni simili.

Per molti commentatori è stata comunque un'occasione mancata a causa degli alti costi dell'emersione. Secondo Caritas Ambrosiana l'esito della regolarizzazione è «modesto» e «dimostra come la politica dei condoni in materia di immigrazione clandestina mostri ormai la corda». La Uil esprime dubbi sul fatto che effettivamente tutte le richieste per colf e badanti riguardino realmente lavoratori del settore domestico. Il Marocco, tradizionalmente assente dal lavoro domestico - sottolineano - su un totale di 15.219 domande ne ha inviate ben 13.899 per colf o badanti. Ciò avverrebbe perchè regolarizzare una colf costa molto meno di un dipendente in altro settore: secondo i calcoli della Uil, da 2.000 euro si passa a 6-10 mila euro.

Da sarà una riproposizione della regolarizzazione. Da oggi per chi dà lavoro a immigrati irregolari scattano pesanti sanzioni, rese ancor più severe dal recepimento in Italia di una direttiva europea: si va da una multa di 5mila euro e la reclusione da sei mesi a tre anni fino a una multa di 7.500 euro e 4 anni di carcere, nei casi in cui si ravvisi una condizione di particolare sfruttamento del lavoratore.
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